In questi giorni di grande incertezza, noi librai,costretti alla chiusura delle nostre attività, ci stiamo interrogando se e come questa pandemia cambierà il nostro lavoro.
Le librerie sono ormai chiuse da quasi un mese, le luci spente e i libri fermi, la cassa chiusa e le cose tutte incredibilmente al loro posto.
La mia, Centostorie, è così. Stamattina, ho provato una sensazione di vuoto, pensandola. Di vuoto e di coraggio. Nel silenzio, che solo le cose immaginate e pensate sanno di avere, mi ha sussurrato come se avesse un’anima:“Sono qui, sono pronta a ripartire”.Così, ho pensato: torneremo a camminare insieme, passo dopo passo, ricostruendo questa storia. Ma facendone anche una nuova, da capo, sapendo che avremo ancora qualcosa da fare, un progetto da progettare e una storia da riannodare.
Ma non è solo lo spazio fisico della libreria a darmi il coraggio di guardare avanti. E’ anche tutto quello che si è mosso e si sta muovendo nel mondo dell’editoria, in questo tempo così buio, a farmi credere in un nuovo capitolo di questa storia.
Succede che, quando il tempo si fa meschino, gli uomini -alcuni, non tutti – sappiano trarne giovamento e scoprirsi umani.
Così si ritrova il ruolo delle librerie: un posto fisico dove scegliere una storia, un posto eletto dove trascorrere il tempo, un elemento fondamentale nel tessuto delle nostre città, che non solo vende un prodotto, ma che aggrega e accoglie.
In questo tempo, in cui nessuno di noi ha diritto ad accogliere, ma è costretto ad isolarsi nella propria abitazione, ecco che questi luoghi mancano.
Mancano agli editori, che trovano nelle librerie, non solo un terreno eletto di vendita dei propri titoli, ma un soggetto di confronto e scambio. Così, ora gli editori, coraggiosamente, insieme a distributori organizzano iniziative per rendere la vita dei librai più facile, per consentirgli la spedizione o la vendita a domicilio. E gli editori ci scrivono: “Come va?”, “State bene?” o “Avremmo voluto farvi vedere questo libro, ma non possiamo, ve lo inviamo, che ne pensate?”.
I confini in questo tempo diventano labili, la solidarietà si emancipa dai ruoli e ci riscopriamo umani. Ci sentiamo circondate da affetto, da parole gentili. Che non serviranno forse a pagare i conti, ma che sono simbolo di un comune sentire e di un filo di partecipazione che non dovrebbe più mancare.
Mancano, questi luoghi, ai lettori, che adesso forse comprendono la differenza abissale tra un luogo fisico fatto di persone, che ti parlano e ti raccontano libri, e un luogo virtuale, dove si sceglie e si acquista, senza alcun contatto umano.
Mancano ai clienti, che vengono non solo per acquistare, ma per partecipare, ad eventi, a feste, a laboratori. E ti scrivono come fossi il loro parente più prossimo: “Torneremo ad abbracciarci”, ci dicono. Chi frequenta la libreria, non solo la nostra, ma le mille e mille che resistono in questi giorni di miseria e tristezza, sa che potrà trovare un nuovo sorriso domani.
Cosa resterà dopo questa incredibile devastante pandemia?
Molte macerie, ma forse qualche seme.
Il seme che riconosce alle librerie un ruolo fondamentale nel tessuto culturale e sociale di questi tempi, che non le considera anacronistiche e fuori dal tempo, ma attuali più che mai, necessarie più che mai. Su queste basi sarà importante ripartire. Da un nuovo ruolo delle librerie, che sono protagoniste di una storia più che mai moderna. Chi ci ha ritenuto non indispensabili in questo periodo, dovrebbe forse riflettere sul senso di indispensabile per un prossimo futuro.
Quando riprenderemo, si potrebbero magari immaginare incentivi davvero concreti e importanti ipotizzati nella recente legge sul libro ma non ancora concretizzati. E vorremmo che ci fosse chiesto di dire la nostra, di poter partecipare alla ripartenza, senza stare a guardare.
Bisogna che si privilegi questi luoghi: che le scuole acquistino da noi, che le biblioteche ci chiedano preventivi senza costringerci a sconti impossibili da sostenere. Che il sistema cultura ci consideri non come animali in estinzione da tutelare, ma com presidi da promuovere e incoraggiare.
Gli editori, che tanto coraggiosamente ci sono stati vicini in questi giorni, dovrebbero continuare con noi questo dialogo così complesso,fatto non solo di uno scambio culturale, ma anche di azioni concrete e politiche riguardo la distribuzione, le scontistiche e i meccanismi che a volte schiacciano le nostre attività.
E noi, anche noi, siamo chiamate a rimetterci su pezzo dopo pezzo. In una storia che ci racconta ancora una nuova versione del nostro finale, in un futuro tutto da costruire e non da temere. Inutile farsi guerra intestine, inutile decretarsi libreria più libreria di un’altra, bella più bella di te, brava più brava di te. La storia, questa, ci ha insegnato che abbiamo tutte una visione diversa, ma la necessità condivisa di fare fronte comune nella nuova vita che ci aspetta.